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Sono sempre più diffusi i siti di e-commerce attraverso i quali è possibile acquistare vino ed altre bevande alcoliche.

La facilità attraverso la quale attraverso questi sistemi possono acquistare bevande alcoliche anche utenti minorenni imporrebbe ai gestori di adottare adeguate misure di prevenzione, anche in considerazione degli obblighi che derivano dalla legge.

Tuttavia, nella pratica, sono molto rari i siti che prevedono specifiche limitazioni o controlli.

La gran parte dei siti e delle piattaforme di e-commerce non prevedono infatti alcuna limitazione o controllo dell’età degli acquirenti; mentre alcuni (tra cui anche alcuni famosi marketplace e piattaforme specializzate) si limitano a prevedere disclaimer o clausole contrattuali secondo le quali gli utenti, procedendo all’acquisto, dichiarano di essere in possesso dei requisiti legali per acquistare bevande alcoliche.

Ma si tratta di misure adeguate?

Il 5 dicembre 2017 il Consiglio ha adottato tre nuovi atti giuridici che compongono il cd. pacchetto Iva per l’e-commerce, con lo scopo di ridurre i costi di compliance fiscale delle vendite a distanza intracomunitarie di beni B2C e delle prestazioni di servizi cross-border B2C.

Il pacchetto, che comprende il Regolamento UE 2017/2454, la Direttiva UE 2017/2455 del Consiglio, e il regolamento di esecuzione UE 2017/2459, interviene sul regime VAT Mini One Stop Shop (cd. MOSS) per migliorarlo ed estenderne l’ambito di applicazione. Al fine di consentire agli operatori e alle autorità competenti di potersi adeguare all’evoluzione della disciplina, il legislatore comunitario ha contemplato l’introduzione progressiva delle nuove regole: alcune sono divenute applicabili dal 1° gennaio 2019 (si veda però il paragrafo dedicato al ritardo dell’Italia nell’attuazione della direttiva europea), altre lo saranno dal 1° gennaio 2021.

Secondo le statistiche pubblicate dalla DG TAXUD della Commissione europea nel mese di settembre 2019[1], il numero di operatori che si avvalgono del regime MOSS è in costante aumento, sebbene una lieve flessione si sia registrata alla fine del 2018, dovuta in parte alla previsione della soglia di 10.000 euro per le PMI, in altra parte alla circostanza che molte imprese commercializzano i propri prodotti attraverso piattaforme o marketplace, che si assumono le obbligazioni fiscali. L’importo IVA incamerato dagli Stati membri di identificazione in applicazione dell’Union scheme del regime MOSS è passato da 2,7 miliardi nel 2015 ad oltre 4 miliardi nel 2018. L’IVA incamerata dagli Stati membri di identificazione in applicazione del non Union scheme è aumentato da 300 milioni di euro nel 2015 a 450 milioni di euro nel 2018. In totale, l’IVA riscossa secondo il MOSS ha superato i 4 miliardi e mezzo nel 2018, in confronto ai 3 miliardi del 2015.

Dal 1° gennaio 2021, il Consiglio ha previsto che il regime MOSS nella sua versione Union scheme venga esteso alle prestazioni di tutti i servizi cross-border B2C, anche diversi dai servizi TBE, e altresì alle vendite a distanza intracomunitarie di beni che soddisfino determinate condizioni (i.e. le cessioni di beni spediti o trasportati dal fornitore o per suo conto a partire da uno Stato membro diverso da quello di arrivo della spedizione o del trasporto a destinazione dell’acquirente).

L’ampliamento dell’ambito di applicazione del regime MOSS è contemplato anche per i fornitori di Paesi terzi: il non Union scheme sarà esteso alle prestazioni di tutti i servizi B2C transfrontalieri, anche diversi dai servizi TBE, purchè effettuate a favore di consumatori localizzati negli Stati membri dell’Unione.

Il Consiglio ha confermato la previsione di norme speciali per le PMI e microimprese. Infatti, se il valore totale delle prestazioni o vendite a distanza intracomunitarie di beni B2C verso uno Stato membro diverso da quello di stabilimento non supera - al netto di IVA - euro 10.000 né nell’anno corrente né in quello precedente, l’IVA è dovuta nello Stato membro del prestatore/fornitore (deroga al principio di destinazione) sicchè viene meno la stessa ragione giustificatrice del regime MOSS. I beneficiari della deroga possono comunque rinunciarvi, se preferiscono applicare le regole IVA degli Stati membri in cui sono localizzati i fornitori/committenti e aderire al MOSS.  In tal caso, l’opzione ha effetto per due anni.

Nei paragrafi che seguono si darà conto delle principali novità introdotte, auspicando che il legislatore europeo possa optare prima o poi per una consolidation della direttiva IVA e degli atti successivi che l’hanno modificata, che renda più agevole l’individuazione della disciplina IVA applicabile caso per caso.

La disciplina consumeristica disciplina in modo dettagliato la garanzia di conformità che il professionista è tenuto a prestare al consumatore per i beni venduti. Si tratta di una disciplina molto più garantista di quella prevista dal codice civile non solo per la vendita (artt. 1490 ss. cc.) ma anche per i contratti di appalto (1667 ss. c.c.), permuta e somministrazione che, ai sensi dell’art. 128 cod. cons., si considerano equiparati alla vendita.

Dopo la conclusione del contratto, il professionista è tenuto, secondo le regole generali in materia di obbligazioni contrattuali, ad adempiere con diligenza e buona fede agli obblighi che derivano dal contratto (art. 1218 c.c.). Anche il consumatore, in quanto parte, è tenuto a rispettare i propri obblighi nei confronti del professionista.

La legislazione consumeristica attribuisce tuttavia alcune particolari tutele al consumatore, che lo pongono in alcuni casi in una posizione di vantaggio rispetto al professionista. È questo il caso, ad esempio, del diritto di recesso, che nei contratti conclusi a distanza o fuori dei locali commerciali consente al consumatore il diritto di risolvere unilateralmente il contratto senza l’obbligo di fornire alcuna motivazione in deroga al principio di vincolatività del contratto sancito dall’art. 1372 c.c.

Il codice del consumo stabilisce poi norme speciali in materia di clausole vessatorie nei contratti di consumo. La disciplina delle clausole vessatorie è stabilita in via generale dagli articoli 1341 e 1342 del Codice civile, a termini dei quali non sono efficaci se non sono espressamente approvate per iscritto tutte quelle clausole disposte unilateralmente da una parte ed incluse in condizioni generali, moduli e formulari che stabiliscono, a favore di colui che le ha predisposte, (i) limitazioni di responsabilità; (ii) facoltà di recedere dal contratto o di sospenderne l'esecuzione, ovvero sanciscono a carico dell'altro contraente decadenze; (iii) limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni; (iv) restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti coi terzi; (iv) tacita proroga o rinnovazione del contratto; (iv) clausole compromissorie o deroghe alla competenza dell'autorità giudiziaria.

Secondo la regola generale, queste clausole vessatorie – che sono tassativamente determinate dalla legge - non sono vietate, ma sono valide soltanto se la parte contro la quale sono state predisposte le approva specificamente e per iscritto.

La legge stabilisce alcuni particolari requisiti formali applicabili ai contratti conclusi al di fuori dei locali commerciali.

Gli obblighi formali attengono in primo luogo alla fase precontrattuale. Ai sensi dell’art. 50 cod. cons. il professionista deve fornire tutte le informazioni previste dall’art. 49, co. 1 (v. §3.3) su supporto cartaceo o, se il consumatore e d’accordo, su altro mezzo durevole.

Il codice del consumo onera il professionista di fornire, al momento delle trattative per la conclusione del contratto, alcune informazioni relative alle caratteristiche del prodotto ed ai diritti che il consumatore potrà far valere nei confronti del professionista successivamente alla conclusione del contratto.

In particolare, sono previsti alcuni obblighi informativi generali relativi ai prodotti, che incombono sul professionista qualunque sia il tipo di bene o servizio fornito e qualunque sia la forma o il luogo di conclusione del contratto (artt. 6-12 codice del consumo). Norme specifiche sono altresì previste nel caso in cui il contratto sia concluso tra il professionista ed il consumatore al di fuori dei locali commerciali del professionista o sia concluso a distanza, come nel caso dell’e-commerce (art. 49 cod. cons.)

Norme specifiche sono poi previste in relazione a specifiche categorie di prodotti, come nel caso della vendita di prodotti alimentari, della vendita di prodotti finanziari o della vendita di servizi della società dell’informazione.

L’attività di vigilanza e repressione delle pratiche commerciali scorrette è affidata dal codice del consumo all’Autorità garante per la concorrenza ed il mercato (AGCM) ai sensi dell’art. 27 del codice del consumo, secondo un procedimento che può concludersi con l'applicazione di sanzioni pecuniarie particolarmente pesanti, ma che, se opportunamente governato, può concludersi anche in senso più favorevole al professionista, senza l'applicazione di sanzioni ma con l'approvazione di impegni a correggere le pratiche commerciali censurate.

L’art. 21 del codice del consumo definisce ingannevole ogni pratica commerciale basata su informazioni non rispondenti al vero, così come ogni pratica commerciale che, seppure di fatto corretta, in qualsiasi modo, anche nella sua presentazione complessiva, induce o è idonea ad indurre in errore il consumatore medio riguardo ad uno o più elementi essenziali (normativamente previsti) del rapporto di consumo, e che per l’effetto sia idonea ad indurre il consumatore ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso.

Gli imprenditori, anche quando pubblicizzano online i loro prodotti e/o ne promuovono la vendita attraverso siti e piattaforme di e-commerce devono evitare di tenere condotte commerciali che possono essere considerate come pratiche commerciali scorrette, che possono portare all'applicazione di sanzioni pecuniarie, anche pesanti, da parte dell'Autorità Garante per la Concorrenza ed il Mercato e che possono inoltre danneggiare l'immagine del marchio o dei prodotti.

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