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L’11 maggio l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha comminato a WhatsApp una sanzione di 3 milioni di euro per aver posto in essere una pratica commerciale scorretta nei confronti dei consumatori, vietata dal Codice del consumo. Secondo l’AGCM, nell’agosto 2016 WhatsApp ha indotto i propri utenti ad accettare integralmente le modifiche apportate ai termini di utilizzo dell’applicazione WhatsApp Messenger, pre-impostando l’opzione che consente la condivisione con Facebook di alcuni dati personali a fini di profilazione commerciale e pubblicitari; in caso di non accettazione veniva prospettata l’interruzione del servizio.

L’AGCM ha respinto le difese di WhatsApp, che nel corso dell’istruttoria aveva sostenuto tra l’altro che l’Autorità Antitrust dovesse sospendere il procedimento sin tanto che il Garante della Privacy non si fosse pronunciato sulla fattispecie, in merito alla liceità del trasferimento dei dati. A tale riguardo, l’AGCM ha affermato che “[i]n linea di principio, la circostanza che alla condotta della Parte sia applicabile il Codice della privacy, non la esonera dal rispettare le norme in materia di pratiche commerciali scorrette, che rimangono applicabili con riferimento alle specifiche condotte poste in essere dal Professionista, finalizzate all’acquisizione del consenso alla condivisione dei dati personali” (cfr. provvedimento PS10601).

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Facebook ha di recente aggiornato le proprie policies per la pubblicazione di annunci pubblicitari sulla sua piattaforma, ponendo particolari restrizioni alla possibilità degli inserzionisti di determinare il profilo degli utenti verso i quali dirigere la pubblicazione degli annunci e delle notizie sponsorizzate.

L’obiettivo di questa modifica è quello di reprimere utilizzi “discriminatori” dei filtri e dei profili utente che Facebook mette a disposizione degli inserzionisti, per impedire che annunci promozionali relativi a certi servizi siano rivolti soltanto ad utenti di determinati gruppi etnici o sociali, escludendone altri.

La modifica è stata introdotta principalmente per reprimere forme di discriminazione perpetrate negli Stati Uniti nei confronti delle minoranze etniche (in particolare nei confronti dei cittadini afro-americani ed ispano-americani e delle minoranze asiatiche) ma i suoi effetti avranno ripercussioni anche sulle inserzioni pubblicitarie pubblicate in altri Stati.

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