L’11 maggio l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha comminato a WhatsApp una sanzione di 3 milioni di euro per aver posto in essere una pratica commerciale scorretta nei confronti dei consumatori, vietata dal Codice del consumo. Secondo l’AGCM, nell’agosto 2016 WhatsApp ha indotto i propri utenti ad accettare integralmente le modifiche apportate ai termini di utilizzo dell’applicazione WhatsApp Messenger, pre-impostando l’opzione che consente la condivisione con Facebook di alcuni dati personali a fini di profilazione commerciale e pubblicitari; in caso di non accettazione veniva prospettata l’interruzione del servizio.
L’AGCM ha respinto le difese di WhatsApp, che nel corso dell’istruttoria aveva sostenuto tra l’altro che l’Autorità Antitrust dovesse sospendere il procedimento sin tanto che il Garante della Privacy non si fosse pronunciato sulla fattispecie, in merito alla liceità del trasferimento dei dati. A tale riguardo, l’AGCM ha affermato che “[i]n linea di principio, la circostanza che alla condotta della Parte sia applicabile il Codice della privacy, non la esonera dal rispettare le norme in materia di pratiche commerciali scorrette, che rimangono applicabili con riferimento alle specifiche condotte poste in essere dal Professionista, finalizzate all’acquisizione del consenso alla condivisione dei dati personali” (cfr. provvedimento PS10601).
Con un secondo provvedimento sempre relativo a WhatsApp Messenger (cfr. CV154), l’AGCM ha accertato il carattere vessatorio e, dunque, la nullità ai sensi degli artt. 33 e 35 del Codice del consumo di alcune clausole del modello contrattuale sottoposto agli utenti, che assicuravano a WhatsApp, tra l’altro, esclusioni e limitazioni di responsabilità ampie e generiche, la possibilità di interrompere unilateralmente il servizio o di variare le condizioni d’uso senza motivo e senza preavviso, l’applicazione della legge della California e l’individuazione dei Tribunali dello stesso Stato quali unici fori competenti per la risoluzione delle controversie.
WhatsApp ha ora 60 giorni di tempo per impugnare le decisioni dell’AGCM dinanzi al Tar del Lazio.
I due procedimenti appena conclusi dall’AGCM non sono gli unici che le Autorità europee hanno avviato in merito allo scambio di dati tra WhatsApp e Facebook: il Garante italiano della privacy ha infatti avviato un procedimento nel 2016, le Autorità tedesche hanno vietato a WhastApp di condividere con Facebook i dati dei propri utenti e richieste di chiarimenti sono state formulate anche dall’Article 29 Data Protection Working Party.
Facebook ha acquisito il controllo di WhatsApp in esito alla concentrazione autorizzata dalla Commissione europea nel 2014. Anche su questo fronte, tuttavia, i rapporti tra le due società sono tornati inaspettatamente sotto il faro della DG Comp nel 2016: nel corso del procedimento d’esame della concentrazione, Facebook avrebbe sottaciuto alla Commissione la possibilità tecnica di collegare automaticamente gli ID di Facebook con quelli WhatsApp, già esistente nel 2014 ed attuata nel 2016 con l’aggiornamento dei termini d’uso.