Lo scorso 17 ottobre la Corte di giustizia dell’Unione europea si è pronunciata sulla competenza giurisdizionale in relazione alle controversie aventi ad oggetto il risarcimento del danno cagionato alle persone giuridiche per effetto della pubblicazione attraverso la rete di dati o informazioni inesatti (CGUE, sentenza 17 ottobre 2017, causa C-194/16, Bolagsupplysningen e Ilsjan, ECLI:EU:C:2017:554).
La questione portata all’attenzione della Corte era sorta in un caso in cui una società estone operante in Svezia aveva promosso in Estonia un’azione volta ad ottenere la condanna di un’associazione di imprese svedese per il danno subito per effetto della pubblicazione dei dati sociali in una black list di imprese non affidabili pubblicata su un sito gestito dall’associazione e per la pubblicazione nel connesso forum di commenti ed affermazioni infamanti nei riguardi della società e di una sua dipendente.
Era infatti dubbio se in una tale fattispecie il danneggiato potesse promuovere l’azione di risarcimento soltanto dinanzi alle autorità giudiziarie dello Stato di residenza abituale del convenuto o se potesse agire anche dinanzi alle autorità dello Stato membro di stabilimento.
Si trattava dunque di interpretare la regola sulla competenza in materia di illeciti civili dolosi o colposi, oggi enunciata dall’art. 7, punto 2 del Regolamento (UE) n. 1215/2012 (ed in passato dall’art. 5, punto 3 del Regolamento (CE) n. 44/2001) che stabilisce la competenza, in alternativa al foro dello stato di residenza abituale del convenuto, anche del giudice del luogo dove l’evento dannoso è avvenuto o può avvenire.
La questione di diritto affrontata dalla Corte di giustizia non era del tutto nuova.
Già in precedenza, i giudici di Lussemburgo erano stati investiti della questione relativa all’interpretazione da dare, nel caso di lesioni dei diritti della personalità commesse attraverso la rete. In tali ipotesi infatti l’evento dannoso è costituito dalla lesione della reputazione e della dignità del danneggiato, la quale si verifica nel momento (e nel luogo in cui) i dati infamanti o inesatti sono consultati da parte degli utenti della rete. Sussiste dunque, in astratto, una pluralità di loci commissi delicti potenzialmente illimitata e diffusa in tutti i Paesi del mondo.
Nella sentenza eDate Advertising (sentenza 25 ottobre 2011, cause riunite C-509/09 e C-161/10, ECLI:EU:C:2011:685) la Corte di giustizia aveva già fornito un’interpretazione della regola sulla giurisdizione in materia di illeciti civili commessi attraverso la rete, affermando la competenza, in alternativa al foro dello Stato dove il danneggiante risiede, anche del giudice del luogo ove il danneggiato ha il centro dei propri interessi oppure del giudice di ciascuno Stato nel quale le informazioni sono state diffuse, ma limitatamente al danno verificatosi in quello Stato. Ad avviso della Corte, infatti, è il luogo dove il danneggiato ha il centro principale dei propri interessi – tendenzialmente coincidente con il luogo di residenza abituale – quello ove la persona offesa subisce in misura più rilevante il pregiudizio, ed è anche quello nel quale i giudici sono maggiormente in grado di apprezzare l’impatto della condotta illecita sulle relazioni e sui diritti della personalità del danneggiato. Esso è dunque il foro più adeguato a decidere, in alternativa al forum rei, sulla totalità dei danni subiti.
La sentenza eDate Advertising era però stata decisa in un caso relativo alla violazione dei diritti di una persona fisica per effetto della diffusione in rete di dati ed immagini personali. Il giudice del rinvio dubitava che il principio di diritto potesse essere applicato anche nel caso di lesioni alla reputazione di persone giuridiche compiute mediante la diffusione di informazioni attraverso Internet.
La Corte di giustizia ha ritenuto assimilabili le due fattispecie, sia pure con un’importante precisazione.
Trova dunque applicazione, anche per le persone giuridiche, la regola affermata nel caso eDate, e dunque “in caso di asserita violazione dei diritti della personalità per mezzo di contenuti messi in rete, la persona che si ritiene lesa ha facoltà di esperire un’azione di risarcimento, per la totalità del danno cagionato, o dinanzi ai giudici dello Stato membro del luogo di stabilimento del soggetto che ha emesso tali contenuti o dinanzi ai giudici dello Stato membro in cui si trova il proprio centro di interessi”.
Tuttavia, per quanto attiene all’individuazione del “centro degli interessi” del danneggiato, la Corte ha distinto la posizione delle persone fisiche da quella delle persone giuridiche.
La Corte ha ritenuto che, per le persone fisiche, il centro degli interessi della persona offesa corrisponde generalmente allo Stato membro della loro residenza abituale, e che solo eccezionalmente siffatta persona può avere il centro dei propri interessi anche in uno Stato membro in cui non risiede abitualmente, ove altri indizi, quali l’esercizio di un’attività professionale, possano dimostrare l’esistenza di un collegamento particolarmente stretto con un altro Stato (punto 39).
Per quanto riguarda le persone giuridiche, invece, la Corte ha ritenuto che esso deve rispecchiare il luogo in cui la sua reputazione commerciale è la più solida e deve quindi essere determinato in funzione del luogo in cui essa esercita la parte essenziale della propria attività economica (punto 40). Il centro degli interessi della persona giuridica coincide soltanto eventualmente con la propria sede sociale.
Ancorché ciò non risulti espressamente dalla motivazione della sentenza, tale distinzione sembra produrre una importante distinzione in relazione all’onere della prova sui fatti idonei a fondare la competenza giurisdizionale del giudice adito in questi casi. Mentre la persona fisica potrebbe infatti limitarsi ad allegare la propria residenza nello Stato membro del giudice adito per far presumere che esso sia anche lo Stato ove si trova il centro dei propri interessi, la persona giuridica potrebbe trovarsi nella condizione di dover dimostrare che lo Stato del foro è quello nel quale esercita la parte essenziale della propria attività economica.
La sentenza in commento ha inoltre affermato un altro importante principio di diritto, stabilendo che, in considerazione dell’universalità della rete e dell’ubiquità dell’accesso ai dati pubblicati in internet, il ricorso proposto da colui che si ritenga danneggiato da informazioni o commenti ingiuriosi pubblicati su un sito internet non può (e non deve) essere proposto in ciascuno Stato membro nel cui territorio siano o siano state accessibili le informazioni, ma deve essere proposto soltanto dinanzi alle autorità dello Stato competente a decidere sulla totalità del danno causato da tali informazioni.