Ciascuno Stato membro dell’UE può considerare i servizi di pagamento mobile come «servizi economici di interesse generale» (SIEG), assoggettandoli a specifici obblighi di servizio pubblico. Ad affermarlo è la Corte di giustizia dell’Unione europea nella sentenza del 7 novembre 2018, Commissione v Ungheria (C-171/17).
Qualificare i servizi come SIEG genera rilevanti conseguenze: in presenza di determinati presupposti, infatti, i SIEG possono essere esentati dall’applicazione delle regole di concorrenza e libera circolazione previste dal TFUE e dalla Direttiva Bolkenstein 2006/123/CE.
Nel caso che ha dato luogo alla pronuncia in commento, l’Ungheria aveva ritenuto di affidare il sistema di pagamento mobile nazionale ad un’impresa pubblica in regime di monopolio, così sottraendolo in toto al gioco della concorrenza. Tale decisione era stata assunta nell’intento di garantire la continuità e l’accessibilità del servizio, non adeguatamente soddisfatte su scala nazionale dagli operatori attivi sino a quel momento sul mercato.
Se gli Stati membri godono di un’ampia discrezionalità nel qualificare un servizio come SIEG, molto più stringenti sono invece i limiti che essi devono soddisfare per dimostrare l’effettiva necessità della deroga alla concorrenza.
Sul punto, la Corte evidenzia che, nei confronti dei SIEG, sia la Direttiva Bolkenstein (art. 15, par. 4) sia il TFUE (art. 106, par. 2) consentono di derogare alle regole di concorrenza e libera circolazione nella misura in cui ciò risulti necessario e proporzionato per il raggiungimento degli obiettivi di interesse generale in rilievo.
Test non superato nel caso di specie, nel quale gli obiettivi di continuità ed accessibilità invocati dal governo ungherese sono stati considerati raggiungibili mediante misure meno restrittive, quali la previsione di “un sistema di concessioni fondato su una procedura aperta alla concorrenza” in luogo del monopolio in mano pubblica.
La Corte di giustizia conferma dunque che, nei confronti dei SIEG, le Autorità nazionali sono legittimate ad imporre requisiti limitativi dell’esercizio dell’attività, “a condizione che detto requisito sia necessario per l’esercizio, in condizioni economicamente sostenibili, degli specifici compiti d’interesse pubblico di cui trattasi”. Per giurisprudenza consolidata, spetta in ogni caso allo Stato, che invoca la deroga, dimostrare la sussistenza di tutte le condizioni che devono essere cumulativamente soddisfatte ai sensi dell’art. 15 della Direttiva Bolkenstein o dell’art. 106, par. 2 TFUE.